X Fragile - Il Filo di Arianna
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PARTE QUARTA

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Messaggio  Admin Mar Mar 30, 2010 5:25 pm

Silvia scrive il diario di Alberto in classe:

LUNEDI’ 12 OTTOBRE:

Quando arrivo a scuola ed entro in classe, Alberto mi sorride e mi saluta e, quando mi avvicino, mi chiede: “Si va a casa?”
Rispondo: “No, andiamo alle ore 13:00 quando si esce e vai a casa con la mamma. Tra un po’ facciamo matematica”
Alberto: “Posso giocare con i pupazzi?”
Rispondo: “Certo, ma quando la maestra dice di sedersi, mettili a posto”
Alberto prende i pupazzi da una scatola, su un banco in fondo alla classe, vicino alla libreria e ad altri giochi da tavolo: un orsacchiotto chiamato Teddy (i compagni lo chiamano gatto Silvestro) e un pagliaccio. Interagisce con loro facendoli ballare, cantando le sue canzoni preferite: “Ci vuole un fiore”, “Il leone si è addormentato”, “La tartaruga” e tante altre anche se quelle che canta di più sono quelle delle quali ho indicato il titolo. Prende i pupazzi e gli fa cantare uno per uno una canzone o tutti e tre insieme; altre volte, mentre canta, Alberto batte i pupazzi sul banco o sul muro della classe. Anche a ricreazione fa questo gioco e, se un compagno chiede di fare cambio con un altro pupazzo, lui accetta e fa lo scambio oppure dice di no e si allontana.
La maestra inizia a fare la lezione di matematica: ripassa i problemi con l’addizione. Alberto mette sotto il banco i pupazzi e tira fuori il quaderno blu dove è scritta la lezione da fare: contare fino a 10, disegnare dei cestini con le biglie da mettere dentro e fuori; disegnare dei cestini con dentro le biglie da 1 fino a 10 , contarle e scrivere il numero corrispondente (es: nel cestino ci sono 3 biglie allora mettiamo fuori dal cestino le 3 biglie oppure mettiamo le biglie dentro ai cestini, nel primo 1 biglia quindi scrivere 1). Per fare questi esercizi ho preso la plastilina. Alberto ha iniziato a fare le palline insieme a me, le ha messe dentro i cestini disegnati dicendo: “Qui una, in questo due…” e così via. Quando ha finito dico: “Giorgio deve scrivere quante palline ha messo nei cestini” allora Alberto toglie la pallina dal cestino e dice “uno”. Io indico dove deve scrivere il numero e così fino alla fine. Poi Alberto si distrae, perché sente la maestra che fa le domande ai suoi compagni e lui vuole rispondere.
Maestra: “Come si chiama un’azione dell’addizione?”
Alberto girato verso di me e a bassa voce: “Aggiungere”
Maestra: “Come si chiamano i termini dell’addizione?”
Alberto girato verso di me e a bassa voce: “Addendo”
Io: “Bravo Alberto, ricordi i termini meglio dei tuoi compagni, fallo anche con la maestra di sostegno così raggiungiamo i tuoi compagni con il programma!”
Finiamo il lavoro e Alberto mi chiede: “Facciamo i serpenti con la plastilina gialla?”
Io: “Certo, facciamoli” poi ho chiesto “Senti un po’, ti ricordi dove abitano i serpenti?”
Lui: “Sull’albero”
Io: “Posso disegnare sul quaderno l’albero così ci mettiamo sopra i serpenti?”
Lui: “Si”
Inizio a disegnare vari alberi e poi ci mettiamo sopra 1,2,3…serpenti fino a 10 e torniamo indietro. Suona la campanella per la ricreazione. Dopo la merenda, la maestra chiede ad Alberto di andare a fare delle fotocopie: “Di questo foglio una copia” e lui prende il foglio e si incammina verso la fotocopiatrice, ma la maestra lo ferma dicendo: “Aspetta c’è anche questo libro, qui due copie”
Lui prende anche il libro e si gira, ma la maestra lo ferma di nuovo e dice: “Fermo, non hai capito! Ascolta quante copie…”
Allora Alberto alza il foglio con la mano e dice “Di questo una” e poi alza l’altra mano con il libro e dice “ Di questo due”, si gira e si incammina verso il corridoio. La maestra mi guarda e dice: “Ma allora ascolta, sente e capisce quello che dico!
Io: “Anche se non ti guarda, sente e comprende tutto” quindi raggiungo Alberto.
Provo dentro di me una grande soddisfazione: così si fa Alberto!
Alberto porge il foglio ed il libro al custode e dice il numero delle copie quando gli fa la domanda, poi porta le fotocopie alla maestra e mi chiede di giocare con i pupazzi. Io dico: “No, ascoltiamo la maestra per sapere cosa dobbiamo fare” e lui “Andiamo a casa?”
Io: “No, andiamo tra un’ora e mezzo, quando la lancetta piccola è sul numero uno e la grande è sul numero 12. vieni andiamo all’orologio”
Si avvicina e indica l’ora dell’uscita. Ci sediamo e dico: “Guarda una fotocopia sulla vendemmia!”
Lui sorride e risponde alle domande della maestra insieme ai suoi compagni.
M.:“Con quale parte del corpo hai visto il colore dell’uva?”
A. e i compagni: “Con gli occhi”
M.: “Con quale parte hai sentito la buccia liscia del chicco d’uva?”
A. e i compagni: “Con le mani”
Terminato questo argomento, la maestra ha parlato di geometria: quadrato, rettangolo, triangolo, cerchio. Alberto ha riconosciuto la forma degli oggetti che presenti in classe: l’orologio è a forma di cerchio, l’astuccio è un rettangolo e così via.
Finalmente è suonata la campanella! Alberto si prepara e, in piedi, aspetta di essere chiamato dal suo compagno per mettersi in fila ed uscire. Quando lo chiamano non rispetta la fila, vuole andare per primo dalla maestra per uscire subito, ma lei gli dice di rispettare la fila e di andare in fondo. Anch’io lo chiamo e gli chiedo di darmi la mano, di stare tranquillo, che usciamo e andiamo dalla mamma.

MERCOLEDI’ 14 OTTOBRE

Oggi è venuta a casa mia Anna, l’insegnante di sostegno di Alberto, per parlare del progetto di ricerca e del progetto raccoglitori, della programmazione….
Anna ha puntualizzato che Alberto deve avere un quaderno per ogni materia con copertina del colore corrispondente, perché con un quaderno unico si confonde di sicuro.

Come le maestre le hanno presentato Alberto: non conosce se stesso, le parti del proprio corpo e di quello dei compagni; non sa disegnare, non ha manualità, non ascolta, non capisce, è come un bambino di scuola materna.

Cosa ne pensa lei dopo un solo giorno di presenza a scuola: conosce perfettamente il proprio corpo e quello degli altri; anche se non guarda ascolta, risponde alle domande; la manualità va raffinata ed esercitata; accetta la presenza dell’adulto e del coetaneo; è molto timido e non sa rapportarsi con l’altro quindi bisognerà aiutarlo nei rapporti con i coetanei.

Anna dice di voler collaborare al progetto raccoglitori e programmiamo insieme gli argomenti da affrontare ed il modo in cui farlo.

VENERDI’ 16 OTTOBRE

Oggi Alberto ha il tempo prolungato fino alle 16:45
La sua classe viene unita alla prima per fare religione, scienze e, nel pomeriggio, il laboratorio.
Nelle prime due ore c’è religione; Alberto prende il quaderno nello zaino ed io, sotto il banco, prendo un foglio dove ci sono scritti i nomi dei giorni già colorati tranne il giorno di oggi. Gli chiedo che giorno è e lui risponde “venerdì”. Gli dico di colorarlo di arancione come sul calendario appeso in classe. Quando ha finito di colorare, prendo il giorno giovedì e dico: “Mi aiuti a trovare il giorno venerdì tra questi due fogli?”
Risposta: “Questo è venerdì”
Io: “Bravo, incolliamolo sul quaderno”
La maestra scrive alla lavagna una frase ed io la riscrivo sul foglio con il pennarello nero e, intorno marco bene il bordo per farlo ritagliare ad Alberto. Metto le parole sparse sul banco e dico: “Mi aiuti a trovare la parola “insieme”?”
Mentre lui osserva, io ripeto la parola “insieme” scandendo bene la lettera iniziale “i” e, alla fine, la prende e poi la incolla (procediamo così anche per le altre parole che compongono la frase).
Dopo la maestra chiede di scrivere sul quaderno i nomi dei compagni (sulla pagina di ognuno ha incollato la parola insieme). Allora ho preso un altro foglio e ho scritto, sotto dettatura di Alberto, i nomi dei compagni di classe sua indicandoli uno per uno; quelli della classe prima li abbiamo nominati insieme perché non li conosce ancora bene. Poi li abbiamo ritagliati e a due a due li mettevo davanti a lui chiedendogli quale fosse il nome di un compagno: “Troviamo il nome di Paolo tra questi due”. Per la maggior parte dei casi ha preso il nome giusto. Dopo si incollano i nomi sul quaderno e si colorano. Appena ha finito, Alberto si alza per andare dalla maestra che sfoglia le pagine del quaderno e dice: “Bravissimo, guarda e conta quanti cuori ti disegno”
Alberto prende il quaderno con entrambe le mani, senza chiuderlo, perché vuole mostrarlo a me; è felice, si vede dall’espressione del viso: gli occhi luccicano e ha un grande sorriso. Io lo abbraccio e gli do un bacio; poi gli propongo di andare a preparare la macedonia e lui accetta. Mette il quaderno a posto, dietro mia richiesta, mentre scelgo altri 4 compagni. Tutti pronti, andiamo a lavarci le mani; la custode ha preparato tutto il necessario per fare la macedonia sul tavolo nel corridoio. Distribuisco: scottex, coltelli e frutta (il prossimo venerdì lo faccio fare ad Alberto).
Alberto preferisce tagliare il kiwi, anzi gliene do 2 perché uno lo mangia e l’altro lo mette nella bacinella affettato e senza buccia (lo aiuto io a togliere la buccia). Questa volta non c’è la maestra di italiano e Alberto pensa solo a mettere la frutta nella bacinella, invece di mangiarla, collabora nell’andare a prendere lo zucchero e l’acqua con i suoi compagni, a mescolare la macedonia…
Quando entriamo in classe per distribuire la macedonia troviamo la maestra di italiano che gli dice: “Siedi al tuo posto”, ma lui rimane in piedi, perché vuole mangiare; la maestra ripete varie volte di sedersi, ma lui niente. Alla fine la maestra gli da la macedonia per levarselo tra i piedi e gli dice: “Ora siediti e mangia piano”. Alberto si siede e mangia, ma, appena ha finito si alza e ne chiede ancora; mi avvicino per dargli ancora un po’ di macedonia, lui la prende e si siede. Poi si alza ed evitando la maestra mi chiede di giocare con i pupazzi. Io rispondo che prima deve andare in bagno e poi può giocare. Alberto va in bagno da solo e quando torna si mette a giocare. Dopo la ricreazione arriva anche la maestra di matematica e scienze; Alberto mi guarda e dice: “Si va a casa?” ed io “No, oggi mangi qui ed esci alle quattro e mezzo”
Lui: “Te ne vai via dopo?”
Io: “Si, all’una quando vai a mangiare a mensa”
Lui: “No mangiare! Posso venire con te?”
Io: “No, perché la mamma alle quattro e mezzo ti viene a prendere. Alberto guarda il succo d’uva che ha portato la maestra, sentiamo cosa dice”
Lui non mi risponde, ma guarda la maestra che spiega che il succo d’uva travasato nelle bottiglie e tappato con un fazzoletto di carta è diventato aceto, invece che vino, perché si è dimenticata di usare un tappo di sughero e di metterla in un luogo buio. Per questo gli zuccheri del succo hanno lavorato tanto e hanno perso il sapore dolce: “Sentite che odore che ha”
La maestra passa da ogni banco per far sentire l’odore; Alberto si allontana di scatto dalla bottiglia senza aprire bocca: l’espressione attorcigliata del suo viso ha detto tutto (odore forte).
La maestra: “Questo succo d’uva si è trasformato in aceto e ha un odore forte, avete sentito?” e tutti “Siii, che puzza! È forte!”
La maestra: “Ora prendiamo le bottiglie vuote che avete portato, le riempiamo di aceto così fate un regalo ai vostri genitori”
Alberto mi chiede di andare a casa e io dico: “Andiamo a fotografare le bottiglie di aceto bianco e rosso?”
Lui, senza rispondere, prende nello zaino la macchina fotografica portata da casa e inizia a fotografare le bottiglie. La maestra gli chiede di aiutarla a travasare il succo d’uva in un’altra bottiglia per eliminare la poltiglia presente sul fondo.
Alberto si gira e va via, allora intervengo dicendo: “Ti faccio le foto mentre aiuti la maestra”
In questo modo aiuta la maestra a travasare l’aceto tenendo il colino sopra la bottiglia vuota, quindi prende la sua bottiglia, dietro richiesta della maestra, per prendere un po’ di aceto da portare a casa. Torna al suo posto, stringe con le mani il tappo della bottiglia e la passa a me. Io stringo meglio e dico: “Guarda la carta velina colorata per ornare la bottiglia. Che bei colori! Quale vuoi?”
All’inizio ha scelto il verde, ma, guardando meglio, ha scelto due strisce di colore rosa. Dopo ha preso del nastro rosso per fermare i due fogli intorno al tappo, ha colorato su un foglio la parola aceto e ha scritto il suo nome. Da solo scrive ALB mentre le altre lettere E,R,T,O devo dettargliele. Tutti questi passaggi sono stati fotografati e narrati da me.

DIARIO ALBERTO IN CASA

MARTEDI’ 20 OTTOBRE

Lunedì Alberto non si sente bene per cui vado da lui martedì mattina. Quando arrivo lo saluto e dico: “Sono passata dal fruttivendolo e ho comprato l’uva”
Alberto: “Mmmm!”
Ci mettiamo seduti sul pavimento di camera sua e dico: “Ecco il grappolo d’uva” mentre l’appoggio su un piatto; aggiungo: “Aiutami a dividere”
Lui mi aiuta, stacca un chicco e chiede: “Posso mangiarlo?”
Io: “Si, ma prima andiamo a lavarla”
Lava il chicco d’uva e lo mangia, poi con il pollice e l’indice della mano destra prende un piccolo grappolo d’uva e lo mette sotto l’acqua corrente; io gli prendo la mano sinistra e l’avvicino all’altra per sciacquare bene tutto il grappolo d’uva. Proseguiamo così anche per gli altri. Siamo tornati in camera e ci siamo seduti sul pavimento. Gli ho chiesto: “Mi aiuti a staccare i chicchi d’uva dal raspo?”. Lui ha tolto i chicchi mangiandone qualcuno insieme a me. Ho esclamato: “Buona, dolce!”
Alberto non ha risposto; allora ho preso il raspo e gli ho chiesto: “Questo è….”
Lui: “Raspo”
Poi ho preso l’acino e Alberto ha detto: “Chicco d’uva”
Io: Si, ma si chiama anche acino” (non importa il nome, l’importante è che sappia di che cosa si tratta). Abbiamo sbucciato a turno i chicchi d’uva. Alberto mi ha detto: “Questa è la buccia” ed io “Si e questi sono i s…”, mentre li prendo in mano.
Lui: “Semi”
Io: “Si e questa è la polpa”
Andiamo a prendere la macchina fotografica e fotografiamo ogni parte dell’uva. Alberto accende la macchina fotografica e dice: “Questo è il grappolo d’uva, questo è il raspo, questi sono i semi, questa è la buccia e questa è la polpa” (io prendo ogni singola parte). Mentre spenge la macchina fotografica gli chiedo: “Mi aiuti a schiacciare l’uva?” e lui “No”
Allora dico: “Va bene faccio io. Schiaccio i chicchi ed esce il succo. Ti ricordi dove è stato messo il succo d’uva?” e prendo le foto che avevamo fatto a scuola venerdì 16 ottobre.
Alberto risponde: “Questa” indicando la bottiglia
Io: “La maestra..” e lui “Fabiola”
Io: “Si, Fabiola ha detto che il succo d’uva non è diventato vino ma a….” e lui “Succo”
Io: “Si, aceto. Ti ricordi? Hai sentito l’odore com’era forte? Ti sei allontanato dalla bottiglia”
Alberto: “Sii” (come per dire: era forte!)
Io: “Poi cosa hai fatto? Hai aiutato la maestra a travasare in un’altra bottiglia l’a…” e lui: “Il succo d’uva” e io: “L’aceto. Poi che cosa hai fatto?”
Alberto: “Ho preso la bottiglia, ho tappato, ho messo il foglio e ho colorato la A”
Io: “Hai colorato la parola ACETO” e lui “Si”
Io: “Ora mi aiuti ha tagliare e incollare le foto sui fogli? Io poi scrivo quello che hai detto.”
Mi ha aiutato a cercare le forbici e ha tagliato quasi tutte le foto, ma poi non ha voluto incollare e ha commentato ancora una volta le foto. Comunque con fatica ci siamo riusciti.
Mentre ho scritto il diario di questa giornata mi sono resa conto di aver sbagliato da quando ho detto ad Alberto: “Ti ricordi a scuola…” Da li ha cambiato atteggiamento.
Inoltre, invece di chiedergli di ripetermi i commenti sulle foto, potevo farlo io coinvolgendolo diversamente senza insistere.

24 ottobre 2009, il professor Cuomo risponde:

Gentilissima famiglia e Silvia,

dalle ultime e-mail si denota che il bambino sta continuando a mettere in atto e sviluppando la voglia di imparare e di fare. Emerge inoltre la negatività della diffidenza e dei modi diretti di verificare sia quando questi sono espressi da voi che dalle insegnanti.
Abbiamo visto, e Silvia stessa, nella riflessione ha sottolineato, che al bambino sia i toni di diffidenza che quelli di esplicita verifica non piacciono. Non piacciono perchè sente che non si ha fiducia in lui quando si dubita e si vuol verificare.
Il bambino è molto disponibile ad apprendere ed ad essere guidato pertanto non vi è bisogno di verifiche dirette e di toni di sfiducia.
Si consiglia la mamma di dire alle insegnanti (è un discorso che deve avere la forza dell'affettività della mamma) parlando a tu per tu (da mamma a mamma) di non essere diffidenti in quanto nè noi Università, nè voi famiglia, nè Silvia, nè tanto meno il bambino vogliamo imbrogliarle e che quando diciamo che certi apprendimenti ci sono e certe competenze anche, si dice la verità (mentire sarebbe un autodanno). Pertanto le insegnanti devono rapportarsi con il bambino dandogli fiducia. Vanno eliminati i toni dubitabondi (anche per scherzo), bisogna valutare e verificare in modalità indiretta(anche attraverso Silvia che non deve registrare, per essere creduta, tutto ciò che il bambino dice correttamente a bassa voce).
Le insegnanti necessitano, di un discorso sulla fiducia, fatto con dichiarazioni dirette della mamma, diretto affettivamente senza fronzoli pedagogici.
Fateci sapere.

Alice Imola
Nicola Cuomo

27 ottobre 2009, la mamma di Alberto scrive:

Buongiorno,
spesso Alberto deve fare i compiti a casa per cui cerco di applicare le vostre indicazioni per trasformare schede e compiti fini a se stessi in qualcosa di un pò più creativo che abbia un senso.
Vi allego le modalità con cui ho fatto eseguire a mio figlio alcuni di questi compiti anche per capire se sto procedendo bene e, inoltre, potrebbero essere utili per la ricerca visto che in questo modo Alberto si diverte a fare la lezione di casa.

Grazie
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VARIE MODALITA’ DI ESECUZIONE DEI COMPITI A CASA

1) Comando: Completa

1 1 1 …..
2 2 2 ….
3 3 3 … e così via fino a 10

Esecuzione:

ho preso il cesto della frutta e ho iniziato a tirar fuori alcuni frutti sottolineando ad alta voce ciò che stavo facendo, es: “Due mele, 1 arancio, 1 kiwi”
Poi li ho contati e ho detto: “1,2,3 e 4. quattro frutti in tutto. Alberto qual è la casina del 4? (cioè la fila dei 4)”
Alberto mi ha indicato con il dito la fila giusta e poi ha scritto il numero 4.
Pian, piano ha preso in mano lui il gioco iniziando a prendere la frutta, denominarla, contarla e scrivere il numero al posto giusto.
Successivamente ci siamo alternati facendo una volta ciascuno.
Devo dire che ci siamo divertiti!

Contenuti:

- prendere 2 mele, 1 arancio, 1 kiwi…ha simulato una situazione problematica
- contare i frutti ha rappresentato la risoluzione del problema e l’esecuzione dell’addizione 2+1+1= 4
- inserire il numero nella fila giusta ha permesso di classificare elementi diversi


2) Comando: Colora di rosso il quadrato in alto a destra, di verde quello in basso a sinistra, di blu quello al centro….

Esecuzione:

ad Alberto piace molto la Pimpa per cui ho preso il pupazzo di peluche che la rappresenta e l’ho animato.
Pimpa: “Ciao Alberto, devo sistemare alcuni libri nella libreria, mi vuoi aiutare?”
Alberto: “Si”
Pimpa: “Bene! Allora vorrei sistemare quelli con la copertina rossa nel buco in alto a destra. Me lo colori di rosso, così poi non mi sbaglio?”
Alberto: “Si” ha individuato il quadrato in alto a destra e lo ha colorato tutto soddisfatto.
Pimpa: “Beh, quelli verdi, invece, li vorrei mettere nel buco in basso a sinistra..”
E così via per tutti gli altri.
Spesso Alberto tende a non rispettare il contorno di ciò che sta colorando per cui, quando tendeva ad andare fuori:
Pimpa: “Stai attento a non andare fuori dal contorno, altrimenti poi mi confondo!”
Allora rientrava e stava attento a ciò che faceva.

Contenuti:

- Alberto si è orientato nello spazio cercando di aiutare un’amica a risolvere un problema reale
- ha colorato rimanendo dentro il contorno dei vari quadrati


3) Comando: Scrivi i numeri da 1 a 30 e da 30 a 1

Esecuzione:

ho creato con il computer delle casette con la porta quadrata piuttosto grande e, sempre con il computer ho stampato due serie di numeri da 1 a 30.
Ho ritagliato i numeri(ho preferito farlo io, perché Alberto aveva avuto il tempo prolungato ed era uscito da scuola alle 16.45).
Siamo andati in giardino e ci siamo sistemati sul ponte sopra il laghetto.
Ho preso le casine ed i numeri e ho detto: “Alberto, il postino deve consegnare la posta però, in questa strada, mancano i numeri sulle case e lui non sa dove lasciare la posta. Vogliamo aiutarlo rimettendo i numeri nel giusto ordine?”
Alberto: “Si”
Allora ha iniziato ad incollare i numeri sulle casette tutto contento.
Una volta arrivato a 30 gli ho detto: “Bene, adesso il postino può consegnare la posta senza confondersi, ma quando torna indietro, per andare a casa, i numeri saranno al contrario per cui vediamo un po’ come li vede?”
In questo modo abbiamo incollato sulle rimanenti casine i numeri da 30 a 1.

Contenuti:

- sviluppo della manualità: incollare i numeri ed eventualmente ritagliare le casine
- ha ordinato i numeri dal minore al maggiore e dal maggiore al minore
- risolvere una situazione problematica reale gli ha permesso di eseguire serenamente un compito che altrimenti, causa stanchezza o noia o altro, non avrebbe sicuramente eseguito.

4) Comando: Trova almeno 3 solidi per ogni forma (cubo, cilindro, parallelepipedo, cono, sfera, piramide) e disegnali sul quaderno

Esecuzione:

ho preparato in una tinozza vari oggetti aventi le forme prese in esame poi ho detto: “Alberto vieni a vedere quanti oggetti ci sono qui. Guarda questo è un rotolo di carta igienica e lo mettiamo qua….”
Abbiamo denominato insieme tutti gli oggetti posizionando il primo di ogni forma in un punto diverso del tavolo. Poi li abbiamo raggruppati:
“Guarda Alberto quella è una pallina, qual è la sua amica?”

Alberto ha osservato i vari oggetti e poi l’ha messa vicino alla palla. Abbiamo usato lo stesso procedimento anche con gli altri solidi.
Senza parlare di cubo, piramide, cono…Alberto è riuscito a cogliere le somiglianze nella forma degli oggetti e ha fare i vari raggruppamenti.
Successivamente ho preso dei cartoncini e ho denominato ciascun gruppo: CUBO, CILINDRO…
Poi abbiamo deciso di fotografare i vari gruppi; quindi ho rimesso tutto nella tinozza per sgombrare il tavolo e gli ho chiesto: “A chi facciamo per primo la foto?”
Alberto: “Al cubo”
Allora ho preso un cubo, l’ho posizionato sul tavolo, ho messo vicino il cartello con su scritto CUBO e ho detto: “Questo è un cubo, adesso cerca tutti gli altri”
Alberto ha iniziato a cercare tra gli oggetti selezionando tutti quelli della forma richiesta.

In questo modo abbiamo fatto la foto ad ogni gruppo di solidi.

Contenuti:

- osservazione e individuazione di somiglianze e differenze
- classificazione di forme simili
- scoperta e denominazione dei solidi
- manualità: prendi e sistema gli oggetti, scatta le foto, inserisci il cavetto per collegare la macchina fotografica al computer, stampa le foto, ritaglia, incolla….

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27 ottobre 2009, il professore Nicola Cuomo scrive alla famiglia di Alberto, dando un consiglio anche alle altre famiglie in primo piano nella ricerca per far circolare le strategie didattiche possibili anche fuori scuola quando gli insegnanti trovano le fantasiose e innumerevoli opposizioni (totalmente fuori dalla legislazione):

Gentilissima signora,
e per c.c. alle famiglie e agli operatori direttamente coinvolti nella ricerca,
sia per influenzare gli inseganti "imboccandoli" con delle idee sia per dar modo ai bambini di poter entrare negli esercizi attarverso una dimensione più complessa ed artciolata e quindi adatta allo sviluppo cognitivo e ad evitare che un insegnamento frammentato rinforzi già le problematiche di frammentazione di Alberto, è importante produrre delle trasformazioni, delle interfacce. Sarebbe interessante per noi che lei ci inviasse delle videoregistrazioni relative a queste "interfacce" che lei inventa in modo da creare una banca delle strategie da far girare tra le famiglie. Le inviamo alcune "interfacce" prodotte in altre circostanze per darle esperienze della vastità degli spunti possibili in una coerenza con le linee della nostra ricerca unitamente a dei collegamenti alla rivista per degli spunti

http://rivistaemozione.scedu.unibo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=49&Itemid=81

e indicazioni sul lavoro del matematico Bruno D'Amore.
Per quanto riguarda l'organizzazione della biblioteca le invio uno spunto che va ad integrare sia un lavoro sulla lettura/scrittura che uno sulle procedure organzizative per categorie e per progressione. NATURALMENTE, QUESTO è UN CONSIGLIO CHE NOI DIAMO SEMPRE, SE E' DIFFICILE CHE LE INSEGNANTI COMPRENDANO IL TIPO DI LAVORO E/O TROVANO DIFFICOLTA' NELL'ATTUARE IN CLASSE, QUANTO INVIAMO DOVRA' ESSERE FATTO IN CASA CON L'AUSILIO DELL'OPERATORE-AMICO.

Che cos’è un Laboratorio di Matematica

Bruno D’Amore

Divenuti di grande moda, almeno a parole, negli anni ‘70-80, i laboratori di matematica sono sorti improvvisi. Io stesso ne fondai e seguii 11 nella sola Bologna, 2 ad Imola, 1 ad Osteria Grande, molti nella zona compresa tra Russi e Lugo, in provincia di Ravenna. Per (quasi) ciascuno di essi era stato concesso, dal Provveditorato agli Studi competente, un distacco annuale, più volte rinnovato. Il/La maestro/a distaccato/a aveva la funzione di “tecnico di laboratorio” come io lo chiamavo, funzione che descriverò tra breve.
L’esperienza fu trascinante, tant’è vero che ne sortirono almeno un paio di articoli, varie comunicazioni e conferenze in importanti convegni anche internazionali, un paio di libri (citerò tutto ciò in fondo all’articolo).
Molti furono gli emuli con i quali intrattenni rapporti epistolari, scambiai esperienze, visite etc. Poi, pian piano, tutto si spense... I Provveditorati non diedero più distacchi per questo genere di cose; i fondi necessari per tenere in vita un laboratorio erano sì modesti, ma comunque superiori agli scarsi fondi disponibili nelle scuole; molti confusero il laboratorio di matematica con quello di informatica, complice il diffondersi dei PC nelle scuole (quelli che facevano e fanno questa confusione non hanno mai neppur letto nulla su questo argomento e pontificano senza competenza).
Ora, e prepotentemente, i laboratori di matematica tornano improvvisamente alla ribalta. I maestri che hanno continuato nell’esperienza, seppur ridotta, sono felici di poter dire «Lo sapevo» perché l’esperienza stessa era sempre stata molto più che positiva.
Dunque, che cosa è un laboratorio di matematica?
Cercherò di definirli, parola per parola:
“laboratorio” è un ambiente dove si costruiscono oggetti, si lavora concretamente, si ottiene qualche “cosa”; soprattutto è caratteristica del laboratorio una certa qual pratica inventiva; nel laboratorio deve essere viva una tensione verso l’ideazione, la progettazione, la realizzazione di qualche cosa di non ripetitivo né banale;
“di matematica” perché l’oggetto concreto della realizzazione è di contenuto matematico.
Dunque, il laboratorio di matematica è un luogo nel quale si costruisce qualche cosa di concreto che ha a che fare con la matematica.
La cosa va però spiegata ed interpretata con acutezza. Bisogna “scegliere”, tra i tanti concetti della matematica, quali possano essere oggetto di costruzione, ideazione etc in un laboratorio; e già questo è un primo passo creativo. Si possono costruire labirinti, percorsi, tassellazioni, giochi logici, materiali che rappresentino le trasformazioni geometriche, strumenti per la risoluzione di semplici equazioni, per il cambio di base, per far calcoli rapidamente, per rappresentazioni topologiche etc.
L’esperienza dei maestri durata vent’anni e la bibliografia sul tema ci possono aiutare a decidere che cosa vogliamo fare in un laboratorio di matematica.
Detto ciò, il laboratorio di matematica deve essere uno spazio a sé stante, staccato dall’aula, con regole di comportamento proprie e con personale diverso.
Partendo dal classico “triangolo della didattica”, una prima elaborazione teorica ingenua che amplia e modifica la situazione è la seguente:

insegnante
l l
allievo - sapere
l l
tecnico di laboratorio sapere progettato
V
sapere costruito (manufatti)
L’insegnante può mandare in laboratorio metà classe o un gruppo o un singolo, dopo aver concordato l’orario e l’attività con il tecnico, sulla base di una reale esigenza scaturita teoricamente in aula.
Chi è il tecnico di laboratorio? Può essere un insegnante particolarmente versato in questioni di bricolage, ma che deve sapere bene la matematica per dominare le invenzioni a volte fantasiose dei bambini; ma in un’occasione ho avuto come tecnico di laboratorio un bidello bravissimo ed appassionato il quale, magistralmente e quasi miracolosamente, trasformava le più astratte concezioni matematiche in oggetti veri e propri, coinvolgendo i bambini nella progettazione, ma poi lasciandoli soli nella realizzazione.
I bambini, infatti, sono protagonisti in questo ambiente; non devono essere guidati se non in ciò: passare dalla fase teorica alla progettazione, e basta. La realizzazione deve essere fatto proprio, del singolo o del gruppo, dopo ampia discussione. Sarà quel singolo o quel gruppo ad avere la responsabilità dapprima della progettazione, poi della realizzazione del progetto ed infine della dimostrazione che l’oggetto conseguentemente realizzato illustra davvero quel concetto matematico; il singolo o il gruppo dovrà difendere la propria realizzazione dagli attacchi sferrati dagli increduli...
Che cosa fa l’insegnante in tutto ciò? L’ideale è che l’insegnante avvii il dibattito teorico, produca il bisogno di una realizzazione pratica, ma resti in aula mentre i bambini frequentano il laboratorio, ed assista alla presentazione del manufatto, dirigendo poi il conseguente dibattito in aula. Con il suo potere istituzionalizzante, infine, l’insegnante sancisce l’eventuale adeguatezza del prodotto costruito, ammettendolo tra i prodotti che fan parte del corredo scolastico: il tal manufatto effettivamente ha i requisiti richiesti per illustrare il tal concetto, dunque è accettato in aula, fa parte degli strumenti di accesso o di verifica del sapere riconosciuto.

È ovvio che tutte le relazioni interpersonali che si instaurano attraverso il laboratorio cambiano, per esempio il contratto didattico.
Poiché non c’è dichiarazione di obiettivo cognitivo in gioco, non si può parlare di situazione didattica; però, neppure si tratta di una situazione a-didattica, dato che lo studente in laboratorio sa quel che si deve costruire e perché. Dunque? Dunque lo studente qui più che altrove deve implicarsi, farsi cioè carico personale della costruzione non solo del sapere (che è termine metaforico) ma anche dell’oggetto attraverso il quale il sapere concretamente transita. Questa volta il termine “costruzione” ha un senso assai significativo.
Dunque, il contratto specifico che si viene ad instaurare (e che io ho iniziato a studiare tanti anni fa, riportando protocolli di bambini impegnati nel laboratorio e facendo interviste a bambini ed insegnanti) è qualche cosa di speciale, di nuovo, di diverso: né contratto didattico, né contratto sperimentale.
Qui la devoluzione scatta necessariamente perché l’insegnante stimola e sparisce, lasciando al bambino una grande responsabilità. La sua implicazione lo porta ad esperire in prima persona, rischiando (il termine è rubato a Brousseau). L’accettazione di tale rischio è la prova dell’avvenuta implicazione.
Insomma, in termini di didattica, la cosa è complessa ed ancora in gran parte da studiare, ma è vincente. Vincente non solo perché qui si tratta di agire, di fare, di verificare, di esperire e dunque porsi nell’àmbito di una pedagogia attiva. Ma anche perché la responsabilizzazione del bambino nella costruzione ha una potenza attrattiva insolitamente significativa e potente. Il bambino non solo è, ma si sente protagonista. E dunque, lanciato sulla strada della motivazione, da solo giunge alla volizione, che è la molla affettiva della costruzione della conoscenza.

Certo, a fronte di situazioni perfettamente consone alle attese, ci sono molte vie di mezzo.
Il laboratorio, per mancanza di spazi attrezzati, può essere l’aula stessa in momenti diversi... Ma non è la stessa cosa.
Il tecnico di laboratorio, per mancanza di personale, può essere il maestro stesso che cambia... divisa; ma non è la stessa cosa: se il bambino si sente valutato per i suoi tentativi (a volte goffi), allora scattano giusti meccanismi di... difesa...
Tuttavia, meglio che nulla!

Ora bisogna lanciarsi, trovare spazi e tempi, cercare soprattutto esempi di contenuti. In questo possono essere d’aiuto le indicazioni bibliografiche successive.

Note bibliografiche

Ecco un paio di libri nei quali sono raccolte centinaia di idee per l’attivazione concreta di un laboratorio di matematica:
Caldelli M. L., D’Amore B. (1986). Idee per un laboratorio di matematica nella scuola dell'obbligo. Firenze: La Nuova Italia.
D’Amore B. (1987). Una mostra di matematica. Firenze-Teramo: Giunti & Lisciani.

Ed ecco un paio di articoli, nei quali si presenta un’ipotesi di studio teorico della didattica della matematica attraverso i laboratori; si tratta di materiale fortemente datato, che deve essere considerato l’antesignano di un certo modo di fare didattica e dal quale prendere spunto per una più moderna ed aggiornata analisi scientifica:
D'Amore B. (1988). Il laboratorio di Matematica come fucina di idee e di pensiero produttivo. L' educazione matematica. 3, 41-51 [questo testo fu anche oggetto di una conferenza plenaria in un convegno nazionale a Cagliari].
D'Amore B. (1990-91). Imparare in laboratorio. Riforma della scuola; in 4 parti; I: Imparare in laboratorio, 11, 1990, 42-43; II: Numeri e teoremi in camice bianco, 1/2, 1991, 51-53; III: Fare per saper pensare, 5, 1991, 37-40; IV: Filosofia e linguaggi del laboratorio, 9, 1991, 36-38. [Summary in: AA.VV. (1991). Some italian contributions in the domain of the Psychology of Math. Ed. Genova]. [Summary in: Barra M. et al. (1992). The italian research in Mathematics Education: common roots and present trends. ICME, Québec, August 1992, 129]. [Questo articolo è stato ristampato per intero in appendice a: D'Amore B., Picotti M. (1991). Insegnare matematica negli anni novanta nella scuola media inferiore. Milano: Bruno Mondadori]. [Questo articolo fu anche oggetto di una conferenza plenaria in un convegno internazionale a Milano].
Ed infine, per quel lettore che si è reso conto di non conoscere i termini oggi così diffusi della didattica:
D’Amore B. (1999). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.
D’Amore B. (2001). Didattica della matematica. Bologna: Pitagora.
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Da: Bruno D’Amore, Vent’anni, o poco più, di didattica matematica nella scuola dell’infanzia. Che cosa è cambiato?, “infanzia”, settembre 1998, pagg. 7-11.

Ovviamente, a distanza di tanto tempo non ho più ricordi vivi, ma solo vaghi. C'è però una fortunata coincidenza. Piero Bertolini mi chiese di scrivere il resoconto di questa esperienza sulla nostra Rivista, cosa che feci, puntualmente (obbedisco sempre... alle persone che stimo). L'articolo, il mio primo articolo in assoluto avente a che fare con la scuola dell'infanzia, uscì nel numero 22, del maggio-giugno 1977, alle pagine 24-27 (quattro pagine fitte fitte; guarda caso, anche questo è scritto in prima persona singolare!). Rileggendo oggi quell'articolo, pian piano mi ritornano alla memoria quelle forti esperienze; e poi l'articolo è così dettagliato, che mi vien facile fare i paragoni per i quali questo articolo, questo sotto gli occhi di chi sta leggendo, viene scritto.
Scopro così che il corso era durato tutto l'anno scolastico 1975-76 con un'appendice nel settembre 1976. E che avevo avuto dapprima il mio bei daffare per ridimensionare due precedenti corsi di Matematica Moderna che avevano sconfortato le insegnanti per due motivi:
• il formalismo micidiale che era stato usato nei corsi da chissà chi
• la caterva di materiali strutturati che erano stati presentati.
Sarebbe nulla, se i miei predecessori non avessero dato da intendere a quelle maestre che quella roba, così come loro l'avevano presentata, era materiale didattico da trasferire ai bambini. Le malcapitate insegnanti avevano provato, ma loro stesse erano in difficoltà... Beh, almeno una cosa in questi anni l'abbiamo capita. Nel triangolo che esprime la relazione didattica

Allievo

l'insegnante è mediatore del Sapere, deve decidere come il Sapere diventi Sapere da insegnare, e quale Sapere è adatto a diventare Sapere da insegnare.
Nel 1976 era imperante la dottrina secondo la quale esiste una gerarchia di saperi; per esempio, nella matematica:
• in aritmetica, il cardinale precede l'ordinale
• in geometria, la topologia precede la misura.
Queste convinzioni erano strettamente basate sulle ipotesi di una successione gerarchica di stadi dello sviluppo intellettuale la cui giustificazione non era legata a vere e proprie ricerche empiriche sui bambini, così come le intendiamo noi oggi, ma ad una teorizzazione più filosofica che antropologica o psicologica. Cosicché, contro la naturale propensione del bambino a contare per il gusto di contare, si cercava di arrivare ad un cosiddetto «concetto di numero» attraverso l'equipotenza di insiemi; mentre contro la naturale propensione del bambino a misurare con sistemi adulti, si cercava di «proteggerlo», creando situazioni più ingenue, anche se meno efficaci, che vennero battezzate «premisura».
Ritrovo in questo mio articolo, scritto alla fine del 1976, delle critiche feroci alla Matematica Moderna, al formalismo degli insiemi, ai materiali strutturati...
Di solito si cita il famosissimo libro di R. Gelman e C.R. Gallistel, The child's understanding of number, pubblicato a Cambridge, come il primo segnale di rottura verso la sistemazione di derivazione piagettiana nella scuola dell'infanzia; ma questo libro americano vide la luce nel 1978! Date alla mano, è evidente che una certa qual ribellione era cominciata prima..., qui da noi. Ora, per onestà, ero caduto anch'io nella rete tesa dai libri di Piaget e compagnia e soprattutto da chi aveva interpretato tutto ciò in chiave di ingegneria didattica. Ma mi sorprendo a rileggere come il mio interesse fosse fin d'allora tutto, in modo prioritario, teso a ricostruire un buon rapporto tra l'insegnante e la matematica, prima ancora di parlare di che cosa fare con i bambini e come. Ero già convinto, anche se ora lo capisco meglio, che ogni atto cognitivo è basato su un atto affettivo: non si apprende (nel senso pieno della parola) da chi non si ama. Ne si può apprendere la matematica, da chi non la ama: e questo vale ad ogni livello scolastico.
Ma l'educazione matematica nella scuola dell'infanzia doveva avere, a mio avviso, soprattutto un carattere linguistico: fare matematica per costruire meglio il proprio linguaggio. In questo credo ancora e forse questa linea è passata, diventando diffusissima.
Inventai giochi di percorsi, di labirinti, di trasformazioni geometriche... quando ancora nessuno ne parlava. E mi sorprendo divertito, oggi, che queste cose hanno avuto una diffusione capillare in tutte le scuola d'Italia, a verificare che se ne è persa la provenienza.
Devo dire, sempre per onestà, che qualche anno dopo (nella seconda metà degli anni '80) non fui più l'unico matematico in Italia ad occuparmi di scuola dell'infanzia, perché la collega Mariolina Bartolini Bussi, di Modena, entrò nel settore, con tutto quel carico di profonda competenza che la contraddistingue. Certe sue costruttive ed intelligenti critiche ai miei libri, un suo taglio diverso, la lettura di alcuni suoi lavori mi furono di grande aiuto: quando non si hanno confronti, è difficile crescere.
Per esempio, mi accorgo ora che nel 1975 non ero molto bravo ad ascoltare i bambini. Ma non era facile. Venivo da un'esperienza nella quale tutte le analisi degli stadi evolutivi veniva fatta al negativo: che cosa il bambino non sa ancora fare. Avevo anch'io imparato a ragionare così, allora non c'era alternativa. Un piccolo esempio, per chiarire. Da qualche parte mi era scappato scritto che il concetto di infinito non è alla portata di bambini così piccoli. Mi basavo su certi discorsi dei piagettiani e su un'esperienza, evidentemente limitata, fatta con le maestre e con i bambini. La professoressa Bartolini Bussi scrisse un bell'articolo (alla fine degli anni '80) nel quale raccontava di un dialogo tra bambini dove l'infinito appariva, e bene!
Da allora, imparai a dare più importanza alle frasi dei bambini, forte anche di un'esperienza fatta da Bertolini e Callari Galli che mi aveva molto colpito. Fu allora che capii che cosa vuol dire che un bambino conta: «1, 2, 3, 7, 8, 6» non è quel che dice un bimbo che non sa contare, è l'espressione di un conteggio nel quale manca ancora qualche perfezionismo... (Oddio, tutte queste cose le ho scritte e non val la pena ripetersi).
Ascoltare i bambini vuol dire rispettarne il linguaggio, la logica, le competenze. Tanto da dover mettere in discussione il senso stesso che ha questo nostro insegnar loro!
L'idea che circolava allora, come sempre in epoche di grandi spinte ideologiche, era quella bruneriana dell'insegnare tutto a tutti, con i dovuti modi. (Lui aveva appena finito una celebre esperienza di insegnamento delle equazioni di terzo grado a bambini di quarta elementare. L'esperimento aveva portato i seguenti frutti: i bambini sapevano effettivamente risolvere le equazioni di terzo grado, ma non sapevano perché dovessero farlo. E soprattutto, molto si erano indispettiti nei confronti della matematica). Cosicché, dovunque andassi, anche quella volta a San Lazzaro, si parlava di pre-aritmetica, pre-lettura, pre-scrittura. Idea che, se nelle intenzioni era buona, di fatto finiva con il voler essere un'insulsa anticipazione di quelle strane messe in scena che si chiamavano «primine», allora di gran moda. Io lanciai l'idea della protomatematica, una sorta di disciplina nella quale non si voleva anticipare un bel nulla, ma semplicemente predisporre linguaggio ed interesse nei confronti della matematica. C'è ancora chi usa questo nome... che poi ho visto rinascere, agli inizi degli anni '90, in Francia, ma con un altro significato.
Uno dei motivi per cui la Matematica Moderna crollò, è certo legato all'idea che il transfer cognitivo sia un fatto automatico. Gli insegnanti venivano indottrinati a fare coi bambini dei giochi con particolari strumenti preconfezionati: tali giochi consistevano nell'ordinare, classificare, evidenziare proprietà ed altro. Lo scopo di questa attività, però, non era intrinseca, ma estrinseca. Secondo quegli autori il bambino avrebbe dovuto apprendere, in un ambiente artificiale appositamente preconfezionato per questa attività, ad effettuare operazioni logiche molto generali, per poi acquisirle, generalizzarle ed utilizzarle in altri contesti. Gli insegnanti denunciavano però il fatto che questo passaggio non avveniva affatto: se un bimbo gioca un mese con i blocchi logici, la sua abilità nei giochi con i blocchi logici aumenta, è ovvio, ma non è affatto detto che poi egli sia in grado di trasferire, dopo averla generalizzata, la supposta conoscenza acquisita, ad altro settore. Tutti gli ambienti artificiali di apprendimento sono destinati, da questo punto di vista, al fallimento. E così vale per i linguaggi artificiali, se hanno questo scopo: la teoria degli insiemi usata da molti allora, fece questa ingloriosa fine.
C'è anche da dire che, non essendo questa attività seguita da matematici, non solo l'efficacia, ma soprattutto il linguaggio con cui se ne parlava era un po'... strampalato. Ancora oggi si sente dire seriare, parola dall'etimologia assai incerta. Una serie, in matematica, è una addizione ripetuta: 1+2+3+4+5+6, per esempio. Mentre invece l'idea del seriare voleva semplicemente essere un mettere in ordine degli oggetti rispetto ad una data proprietà (per esempio, mettere in ordine di altezza dei pupazzi). Di parole di questo tipo ce n'erano tante, molto curiose. Ma forse la più strana era la seguente, per la quale è necessaria una riflessione linguistica.
In matematica esiste una disciplina che si chiama «Logica matematica»; logica è un sostantivo, mentre matematica è qui usato come aggettivo; siccome logica è femminile, matematica appare accanto a questo nome ovviamente al femminile. In italiano esistono però spesso delle dizioni che fanno uso di aggettivi doppi; per esempio si usa dire Educazione logico matematica, nella quale il sostantivo è Educazione, ed esso è accompagnato da due aggettivi; com'è nelle norme italiane, di questi due aggettivi, solo il secondo, terminale, è messo al femminile, mentre il primo deve apparire al maschile; non si dovrebbe mai dire Educazione logica matematica, suona male, è sbagliato.
Qualche burlone, ma chissà chi, aveva così frainteso il senso stesso dell'azione didattica in questo campo, aveva così poca dimestichezza con le discipline matematiche (e, dico io, con l'italiano) che aveva lanciato sul mercato dei corsi d'aggiornamento e dei libretti per insegnanti la dizione La logico matematica, come sostantivo o come aggettivo sostantivizzato o interpretato chissà come. La cosa diabolica è che, per la legge di perversione naturale che domina le cose di questo mondo, la dizione aveva avuto fortuna (il che mi fa pensare che questo sconosciuto creatore di terminologie avesse un certo qual prestigio). Quando io cominciai ad occuparmi di queste cose, ero circondato da questa dizione, che ancora perdura e fa fatica a morire. Ancora la sento usare, in alcuni sperduti luoghi d'Italia...
La cosa divertente è che io combattei contro questo non senso fin dall'inizio, ma fui punito. Quando mandai il mio articolo alla Redazione, il titolo suonava così: «A San Lazzaro di Savena abbiamo parlato di Logica matematica»; ma un solerte correttore di bozze della redazione fiorentina, evidentemente esperto di queste cose, ritenne ch'io mi fossi fatto scappare un errore e, senza interpellarmi, corresse il titolo, che apparve così: «A San Lazzaro abbiamo parlato di Logico-Matematica», con tanto di trattino in mezzo per rendere il non senso ancora più marcato. Andai su tutte le furie: non soltanto scrivendo di quell'argomento sentivo di mettere a repentaglio la mia credibilità scientifica di fronte a colleghi matematici, ma in più mi avevano buttato addosso un titolo senza senso, ridicolo.
La resistenza ad abbandonare questo nome fu tanta, a tutti i livelli; e spiega l'accanimento acritico che accompagna questa nostra disciplina...
Tuttavia i passi successivi sono stati da gigante: l'aver sostituito le ipotesi piagettiane con quelle vygotskiane; il porre il bambino, nella sua interezza al centro dell'interesse didattico; il guardare quel che il bambino fa non con la bonomia dell'adulto che guarda divertito la scimmietta che annaspa nello sforzo di replicare l'umano, ma con l'accettazione del misconcetto in evoluzione; eccetera, sono tutti segni profondi di un'attenzione molto più matura e sensibile, che prosegue.
L'aver studiato tanto i bambini della scuola dell'infanzia ci ha dato una marea di informazioni sui bambini che entrano nella scuola elementare, sul loro profondo e ricchissimo bagaglio cognitivo. E questo, più in generale ha contribuito a modificare l'ottica con la quale studiare i processi di comunicazione, quando l'intenzione comunicativa è quella didattica. Non si può negare che la più grande rivoluzione didattica, quella che circa 15 anni fa ha portato la Didattica della Matematica a diventare disciplina autonoma e oggetto di ricerca specifica, è nata quando, pur conservando la direzione comunicativa insegnante-allievo, il verso è stato invertito (allievo-insegnante) e tutta l'attenzione dei ricercatori si è indirizzata sugli allievi e non più sugli insegnanti, i loro prodotti, la matematica, la sua divulgazione.
Questa rivoluzione ha modificato radicalmente i connotati della ricerca e questa storia prosegue, ora, in questa stessa direzione.


Con molte insegnanti abbiamo fatto alcune riflessioni su come la narrazione può sostenere gli apprendimenti e le abilità nell'area dell'aritmetica. Si è fatto l'esempio di un problema narrato tipo: "Due gatti, andando a caccia di topolini, ne vedono cinque, si avvicinano per catturarli ma uno dei topolini li vede, da l'allarme e tutti iniziano a correre; solamente due di loro, che stavano giocando, non sentono le grida degli amici e rimangono imprigionati dagli artigli dei due gatti."
Nell'ambito scolastico, è indispensabile determinare condizioni affettive multimediali in modo da fornire al bambino, con il piacere di stare insieme, molteplici appigli per l'attenzione e la memoria.
La narrazione può fornire la base su cui riflettere sui numeri, sulle grandezze, sui colori. Anche per le attività di aritmetica, gli aspetti emozionali ed affettivi che la narrazione determina risultano di ausilio e sollecitazione agli apprendimenti, la trama è di sostegno; se inglobiamo un esercizio di aritmetica, un "problemino" in un contesto narrativo, sicuramente gli "appigli" emozionali, la forza evocativa della narrazione, le immagini supporteranno i processi logici.
"Cip e Ciop decidono di andare a trovare i loro sette cuginetti e decidono di portare loro un cioccolatino a testa, ma quando, dopo un lungo viaggio nel bosco, stanchi, giungono alla casa dei loro cugini, si accorgono, ricontando i cioccolatini, che ne hanno tre in meno.
"Dove saranno andati a finire!" Esclama Cip, guardando con aria interrogativa Ciop (in quanto sa che è molto goloso).
"Perchè mi guardi così?" Dice Ciop. "Non penserai che li ho mangiati io?!"
"No, voglio solo capire perchè hai le labbra marroni...???!"...
Si decide di dare ai cuginetti, che sarebbero rimasti senza cioccolatini, due caramelle alla fragola ciascuno ...".
Nell'esempio sopra riportato vi sono occasioni per l'aritmetica, per riflettere sugli aspetti logico-matematici e se il bambino trova difficoltà in alcuni aspetti, le occasioni per gli apprendimenti rimangono.
Il viaggio di "Cip e Ciop" è una storia e pertanto può essere riassunta, arricchita di vocaboli, offre spunti per riflettere sulle successioni di eventi, sui tempi verbali, ...; se la storia, come si consiglia, è corredata da immagini, propone attività di collage, di disegno, attività che separatamente sono sicuramente importanti, ma che in questa modalità integrata assumono una potenza multimediale, facendo sì che ciascuna abilità sostenga e faciliti l'altra.
Senza la storia di "Cip e Ciop", senza i collage, i disegni, l'operazione aritmetica sarebbe 7-3=4.
Le attività che ho suggerito sono spunti che sottolineano come risulti indispensabile per la crescita e lo sviluppo di un bambino, non apprendere passivamente ma in modo attivo.

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PROGETTO “BIBLIOTECA”

A scuola le insegnanti potrebbero chiedere a ciascun bambino di portare un libro, successivamente fotocopiarne la copertina.
Questo comporta un notare che la copertina originale è a colori e la fotocopia in bianco e nero, la proposta consiste nel, raffronto permanente con l'originale, colorare la copia in modo da farla divenire più simile al libro.
Ne risultano una molteplicità di attività cognitive, il raffrontare, il cercare i colori uguali, il riempire gli spazi, il seguire le linee ... avendo un modello che propone una verifica autonoma, significa fornire al gruppo dei bambini una occasione per gli apprendimenti che vanno dalla conoscenza dei colori, delle grandezze, delle forme ..., di coordinamento oculo-manuale, di prescrittura e prelettura, in una condizione di attività non parcellizzata ma globale.
Quando ciascuna copia sarà stata completata, si potrà passare al raggruppare le fotocopie colorate, le copertine fatte dai bambini, per categorie, le copertine delle fiabe degli animali, le copertine delle fiabe delle fate ... un raggruppamento in categorie che possono essere simbolizzate con un colore concordato.
Si potrà organizzare lo scaffale giallo, dei libri sugli animali(e si sarà incollato sul libro e sulla copertina fotocopiata un contrassegno giallo), lo scaffale verde, delle fate, lo scaffale rosso, de ...
Questo percorso concordato e vissuto dai bambini, somiglia sul piano strutturale all'organizzazione di una normale biblioteca.
Si potranno, scegliere i libri da leggere sfogliando le copertine fotocopiate e ordinate in classificatori, le insegnanti potranno leggere i titoli se i bambini lo chiederanno, o verificare se lo deducono dai disegni. Gli insegnanti o i bambini stessi possono raccontare, consigliare narrando la trama per punti chiave ai compagni, promuovere il portar a casa il libro per leggerlo con i genitori.
Scelto il libro consultando le "fotocopie copertine schede", dal classificatore, ciascun bambino, con il suo "foglio copertina scheda", ritrova il colore dello scaffale, preleva il libro ed inserisce al suo posto il "foglio-copertina-scheda" con il proprio nome la data del prelievo e la data della riconsegna (per tale procedura possono essere, fin quando non si impadroniscono della dinamica, aiutati dagli insegnanti ).
La restituzione dei libri potrebbe essere fatta con un cerimoniale in cui ciascuno racconta ai suoi amici, cosa gli è piaciuto del libro, in una breve trama magari organizzata con quattro cinque disegni e/o collage che richiamano i punti chiave della lettura.
Un cerimoniale che gli insegnanti possono enfatizzare per suscitare nel gruppo dei bambini il desiderio e la curiosità del leggere.
I libri saranno riposti nei loro scaffali e le copie delle copertine nel classificatore ( dato che le copertine saranno molto maneggiate è consigliabile inserirli in foderine di plastica trasparente ).
Si potrebbe realizzare lo stesso progetto a casa, sia con i libri che con le videocassette.
Un progetto di questo tipo propone ai bambini, il partecipare ad un processo di organizzazione, di categorizzazione, di invenzione e concordanza di convenzioni, di utilizzo del linguaggio, delle parole per trovare degli accordi, per regole comuni ...; di scoperta di regole di insiemistica, di appartenenza, di somiglianza e differenza, di simmetrie, di ordine, di disordine ...; di conoscenza di lettura e scrittura, oltre, come abbiamo accennato, di attività che vanno dal disegno alla conoscenza di forme e colori, di abilità motorie fini, ...; inoltre i prestiti, il dover riportare, restituire propone riflessioni sulla durata del tempo, sul calendario, settimana, mese, giorno ...; e per ultimo, non meno importante, propone il nascere del desiderio e l'amore per la lettura, per i libri.

Lo stesso progetto può essere evoluto sia per far nascere che per far evolvere le competenze nell’utilizzo di DVD e video cassette. Un lavoro che è possibilissimo in casa con l’ausilio dell’operatore-amico.

Si potrebbe evolvere la competenza dei bambini nel riconoscere le videocassette e i DVD determinando una loro classificazione che dovrà essere organizzata insieme al bambino.

Si potrebbe concordare un piccolo disegno che rappresenta il filmato, per esempio “La bella addormentata” con scritto sotto il titolo, successivamente fotocopiare il disegno sottotitolato in modo che ve ne siano due uguali. Questi due disegni sottotitolati si possono incollare uno sulla scatola della cassetta/DVD e l’altro su di un cartoncino. I cartoncini possono essere raccolti in una scatola come sono raccolte le schede dei libri in biblioteca. Il bambino potrà scegliere tra le schede il film che vuol guardare, prendere la scheda, ritrovare la cassetta/DVD tra gli altri, togliere la cassetta/DVD per vederlo ed inserire il cartoncino al posto della cassetta/DVD mentre guarda il film. Terminato di guardare il film potrà rimettere a posto la cassetta/DVD e il cartoncino-scheda tra le altre schede.

I contenitori delle videocassette/DVD potrebbero essere organizzati sia con un numero che le contraddistingue sia con un nastro adesivo colorato sul dorso. La cassetta/DVD 1 avrà un pezzettino di nastro incollato rosso di mezzo centimetro, la cassetta/DVD 2 un pezzettino di nastro colorato di un centimetro, la cassetta/DVD 3…

Le cassette/DVD posti in successione dall’1 al … mostreranno una sorta di “scaletta” che facilmente farà comprendere una successione. In presenza di molti DVD e/o cassette si potranno organizzare serie sino a 10 connotando questi 10 con delle categorie ciascuna con un colore (rosa i film delle principesse, verde i film degli animali,….). Inoltre la simmetria formata dalla “scaletta” ricorderà da dove è stata tolta la cassetta per essere guardata mostrando lo “scalino” mancante. La lunghezza della scaletta potrà essere riprodotta sul cartoncino-scheda.

Il bambino in tal modo potrà, cercando il numero e/o riconoscendo dal numero e dall’altezza dei pezzetti di nastro colorato posti sul dorso della custodia, la posizione nello spazio della cassetta/DVD posta in un ordine di successione.

Una volta che il bambino si è impadronito della dinamica, come si è accennato, se vi sono diverse categorie di videofilmati, si potrebbero contraddistinguere dando diverso colore ai pezzetti di nastro adesivo incollate sul dorso: i rossi sono i films, i verdi i documentari degli animali,…

Le cassette/DVD e il loro uso diverranno, nel tempo, l’occasione per scoprire il numero, le successioni, l’insiemistica, la seriazione, la categorizzazione, … un’organizzazione per ritrovare, anticipare come funziona una libreria, …


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